Per il mese di febbraio, che forse non è uno dei mesi più allegri da un paio di anni a questa parte, o forse non lo è mai stato, abbiamo letto le opere di Agota Kristof.
All’età di ventuno anni con il marito e una figlia neonata fugge dal suo paese attraversando il confine tra Ungheria e Austria. Trasferitasi in Svizzera, adotterà il francese come sua lingua di espressione, non senza difficoltà. Che legame hanno queste informazioni biografiche rispetto alle sue opere?
“Leggo. E’ come una malattia. Leggo tutto ciò che mi capita sottomano, sotto gli occhi: giornali, libri di testo, manifesti, pezzi di carta trovati per strada, ricette di cucina, libri per bambini. Tutto ciò che è a caratteri di stampa.”
Negli anni del collegio, dove è stata mandata perché la madre non può mantenere lei e i suoi fratelli, sono la lettura e la scrittura il suo rifugio.
Dopo la fuga in Austria e il trasferimento in Svizzera, la Kristof trova lavoro in una fabbrica di orologi.
Nonostante a livello materiale la vita sia migliorata, lei e altri suoi connazionali si trovano in un “deserto sociale, deserto culturale”. Alcuni tentano di tornare in Ungheria nonostante la condanna alla prigione, altri emigrano in paesi lontani, alcuni scelgono il suicidio. Il suo “deserto culturale” è essere tornata “analfabeta”, non poter comunicare e farsi capire, talvolta nemmeno con i figli che crescono ed imparano la lingua locale come loro prima lingua. Non ha libri scritti in una lingua per lei accessibile, i pochi, sempre gli stessi. La vita sicura costretta nella routine (accompagnare i figli a scuola, lavorare, fare la spesa, preparare la cena) è sfibrante e logorante. Solo la sera si dedica alla scrittura.
“Come sarebbe stata la mia vista se non avessi lasciato il mio paese? Più dura, più povera, penso, ma anche meno solitaria, meno lacerata, forse felice. La cosa certa è che avrei scritto, in qualsiasi posto, in qualsiasi lingua.”
Forte è il suo legame con i libri, la necessità di scrivere, il bisogno di esprimersi, che la spinge a studiare intensamente la lingua francese per poter leggere, e scrivere.
“E’ qui che comincia la mia lotta per conquistare questa lingua, una lotta accanita e lunga, che di certo durerò per tutta la mia vita. Parlo il francese da più di trent’anni, lo scrivo da vent’anni, ma ancora non lo conosco. Non riesco a parlarlo senza errori, e non so scriverlo che con l’aiuto di un dizionario da consultare frequentemente.”
Ma non pensate anche voi che sia eccezionale riuscire a creare opere in una lingua che non è la vostra? Non più in età scolare, con una famiglia da curare e un lavoro, riesce a conquistare e a manipolare una lingua con la quale non è nata. Un promemoria per Fede, ogni volta che non ha voglia di fare qualcosa perché è “stanca”.
“Non appena padroneggio un po’ la lettura, mi fisso un altro obiettivo: scrivere in francese. Questo è diventato una necessità, perché attorno a me tutti parlano francese.”
“Questa lingua, il francese, non l’ho scelta io. Mi è stata imposta dal caso, dalle circostanze. So che non riuscirò mai a scrivere come scrivono gli scrittori francesi di nascita. Ma scriverò come meglio potrò. E’ una sfida. Ça sfida di un’analfabeta.”
Fede ha guardato, sempre tramite il sistema bibliotecario, il film “Brucio nel vento” di Silvio Soldini, ispirato al suo romanzo “Hier”. Vi ha trovato rappresentate perfettamente le atmosfere che aveva sentito in “L’analfabeta” e “Trilogia della città di K.”. Il protagonista scappato dalla sua città natale in seguito ad un evento drammatico, lavora di giorno come operaio e la sera scrive. Nonostante frequenti suoi connazionali, sembra completamente sradicato, staccato, vive in un “deserto sociale”. Persistono quindi gli stessi temi: la scrittura, la ricerca di un fratello, lo sradicamento, il mischiare eventi reali o creduti tali, la menzogna rivelata.
Fede suppone che per il tipo di scrittura, anche gli amanti di Murakami Haruki potrebbero apprezzare “Trilogia della città di K.” Per i suoi eventi surreali, per le rivelazioni e per gli intrecci, per la crudezza. Per il linguaggio asciutto e privo di ghirigori.
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