A colazione con... Ilaria - "Pomodori verdi fritti" di Fannie Flagg

Un nuovo ritorno con Ilaria che ci presenta un bellissimo libro, "Pomodori verdi fritti", da cui è stato anche tratto un film. Lo conoscete?

Per rinfrescarvi la memoria su Ilaria, ecco una breve presentazione:

Sono Ilaria, una giovane trentunenne che fa la copywriter freelance e ha una passione smodata per i libri, la corsa, la musica tamarra e il caffè. Abito a Villasanta (vicino al parco di Monza) con il mio ragazzo e nel primo lockdown ho creato una mini biblioteca fuori dal cancello di casa, per condividere con tutti i miei libri - e grazie a questo ho conosciuti i miei vicini. Nel secondo lockdown ho dato il via ad un gruppo di lettura, il Club del Libro, che si riunisce ogni giovedì per condividere le emozioni e i pensieri dei libri che leggiamo insieme a tappe. Le "iscrizioni" sono sempre aperte al club, basta scriverci sulla pagina Instagram @ilclubdellibro.theclubbers. Leggere è bello, ma leggere insieme lo è ancora di più.  



Un libro che è casa
Alcune volte capita di entrare in un luogo e sentirti subito a casa.
Un bar, un ristorante, una libreria. Per qualche strano motivo chimico, entri subito in sintonia e risuoni con l’ambiente intorno a te. Con gli oggetti, con le persone, con l’atmosfera. È qualcosa che è nell’aria e che è dentro di te.
Altre volte invece capita di arrivare in un luogo e di non conoscere nessuno.
Immaginate le feste di compleanno, ma ancora meglio le sagre di paese, quando è estate e tu sei ospite di un tuo amico o una tua amica e non conosci nessuno, ma tutti ti trattano subito come se fossi parte della famiglia.
Entri in un turbinio di nomi e facce, di odori, sapori, vie in cui perdersi, parenti e amici che ti accolgono, abbracciano, onorano l’ospitalità che è sacra dai tempi dei Greci.
Pomodori Verdi Fritti è entrambe le cose.
È un luogo e un amico che ti accoglie ed è anche tante facce e voci che si accavallano per raccontarti una storia. 
I personaggi sono tanti, i narratori della storia sono principalmente tre.
  1. Il giornale della signora Dot Weems, ovvero il bollettino settimanale di Whistle Stop, Alabama
  2. Evelyn Couch, che incontra Virginia Threadgoode (Ninny) nella casa di riposo di Rose Terrace
  3. Un narratore esterno, che racconta alcuni pezzi di storia dei personaggi quando non sono a Whistle Stop.

Ogni capitolo ha un luogo e una data che ti permette subito di capire chi stia per raccontarti e in che momento storico siamo. La prima data che incontriamo è il 12 giugno 1929, l’ultima il 22 maggio 1988.

Comincia con la Depressione e l’apertura di un caffè in una piccola città dell’Alabama. E da lì racconta un mondo, racconta fatiche e dolori dell’integrazione razziale e della guerra, dei matrimoni quasi combinati e di chi muore di fame.
L’inizio è un po’ difficile, i personaggi sono tanti (noi abbiamo fatto uno schema che ha aiutato molto) e sembra non esserci un filo logico tra i racconti dei vari capitoli. Quella è la fase in cui si rischia di abbandonare il libro. Ma bisogna avere fiducia e continuare, perché come in tutte le cose difficili, il meglio arriva dopo.
Dopo leggiamo di un amore travolgente (quello tra Idgie e Ruth), di amicizia, amore familiare, di bambini che crescono, di persone che muoiono.
Questo libro è amore.
Sotto tutte le forme. Fraterno, genitoriale, romantico (Dot Weems scrive di suo marito chiamandolo “la mia dolce metà”), sensuale, omosessuale, adulto, immaturo.
Parla di tutte le forme di amore, delle gioie e delle fatiche e di quanto ogni amore possa fare bene, dare fiducia, salvare - anche se non nel momento in cui vorremmo noi, anche quando non ci daremmo più una possibilità, anche quando tutto sembra perduto e resta solo una foto a scaldarci.
Pomodori Verdi Fritti è il conforto che solo la cucina fatta con amore può dare.
Accogliere un vagabondo e sfamarlo, per poi dargli un lavoro. Dare da mangiare ai “negri” (sempre cit.) dal retro del ristorante, perché nell’Alabama dei primi del Novecento non potevano mangiare con i bianchi. Ospitare una ragazza nera, incoraggiare un bambino che ha perso una mano, consolare una madre e una sorella che hanno perso figlio e fratello.
È un libro che ci ha fatto respirare dopo l’oppressione de La città dei Vivi. È un libro a cui si deve dare fiducia, in cui bisogna lasciarsi trasportare dai mille personaggi. È un libro che è un mondo.
È quella casa che ci mancherà.

Quanti modi ci sono di raccontare una tragedia?

Mi sono fatta spesso questa domanda nell’ultimo anno, pensando a chi come me lavora nella comunicazione.
Quanti modi ci sono per raccontare una pandemia, la morte di una persona, uno stupro, i naufragi, il dolore?
Fino ad oggi ho pensato che ce ne fossero solo tre. 

Si può scrivere tutto quello che accade senza giudizio del narratore. Verga ci ha già mostrato come si fa a raccontare una tragedia senza nessuna lente più di un secolo fa (i Malavoglia sono usciti nel 1881). Il narratore è solo un mezzo, una telecamera che mostra la vicenda e lascia sentimenti e giudizi a chi legge.
Poi si può scegliere già un’interpretazione della storia mentre la si racconta: la storiografia ci insegna che una battaglia - e tutta la storia - la si può raccontare dal punto di vista dei vincitori o dei vinti, con esiti molto diversi.
E poi la si può raccontare per suscitare un’emozione: gioia, dolore, schifo, riso, fastidio, rabbia. Questo modo di raccontare coinvolge subito i lettori, che non devono fare nessuna fatica ad analizzare cosa provano e a cercare un giudizio dentro di loro. L’autore ha già scelto se devono indignarsi, o addolorarsi, scuotere la testa e pensare che non ci sia nulla da fare.

Oggi so che c’è una quarta via: si può scegliere di raccontare la vita con leggerezza.
Non con superficialità, ma con leggerezza. Come direbbe il nostro Calvino: che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.
Raccontare una morte in poche frasi, dire che sei diventata orfana in una riga sola, parlare della segregazione razziale mostrando alcune persone (afroamericane) che non possono pranzare liberamente in un caffè ma devono prendere i panini dal retro. 

Fannie Flag ci ha fatto vivere questa quarta via, quest’altro modo di raccontare la vita e il dolore, che è diverso rispetto a Lagioia. 
È un romanzo molto più corale - per quanto anche La città dei vivi avesse delle parti più corali - ed è un romanzo che toglie macigni, dalla vita e anche dai nostri cuori. 
Ci sta rimettendo in prospettiva “le tragedie”, ci sta mostrando un modo di viverle come una cosa normale, come degli eventi che possono accadere nella vita, nei quali possiamo scegliere se disperarci, o viverli, dicendoci che sono vita anche questi. 
E che ci sono sempre cose di cui sorridere e gioire, come qualcuno che ci cucina pomodori verdi fritti.

È dura dire addio ad un libro così.

Delicato, gentile, fatto di amicizie, amori e di persone che si sono sostenute a vicenda nei momenti più duri. 
Stasera ne parliamo per l'ultima volta prima di passare al prossimo libro. Sentiamo già la mancanza di tutti i personaggi che abbiamo incontrato, di cui abbiamo fatto fatica a ricordare i nomi, e che adesso sembrano nostri amici. 
Ve lo consigliamo se volete ricordarvi quanto è bello stare insieme in un caffè e avere amici che staranno al vostro fianco, no matter what.

P.S. Quello che ho in questa recensione è anche frutto della discussione e scambio di pensieri con i Clubber del Club del Libro. Insieme affrontiamo la letteratura con una marcia in più grazie alla formazione, sensibilità e inclinazione di ognuno di noi.


E la colazione...
La colazione è stata molto semplice: un espresso (monoarabica dell'India, amato per la sua nota cioccolatosa) e un macaron alla vaniglia.







Per saperne di più:
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