Nuova recensione ospite! Lei è Maria Paola, che ci parlerà di "La figlia unica" di Guadalupe Nettel. Chi è Maria Paola? Le lasciamo la parola qui sotto:
All’età di 3 anni o poco più sono stata letteralmente folgorata dal suono a dir poco melodioso e meraviglioso della lingua araba, per poi ritrovarmi a studiarla per la prima volta a 17 anni e proseguirne gli studi all’università, arrivando a diventare arabista e islamista. Di questa lingua, della cultura che porta con sé ed anche della religione islamica di cui è espressione principale, mi sono talmente appassionata e innamorata a tutto tondo da aver “confuso”, nel corso degli anni, i piani ritrovandomi oggi mamma di un bambino di 6 anni che è per metà di origini egiziane. Per lavoro oggi mi occupo di turismo responsabile in Italia e nel mondo grazie al mio impegno che mi vede socia della cooperativa Viaggi Solidali, ma per passione continuo a coltivare la lettura, la scrittura, lo studio… Passioni che mi hanno portato a riprendere in mano un blog aperto nel 2015 dal nome TIJASI dove mi diletto a raccontarvi curiosità culturali ed artistiche su e da Maghreb (Nord Africa) e Mashreq (Medio Oriente).
E ora a voi la recensione! Buona lettura!
E’ stato il caso ad avermi portato a leggere il nuovo romanzo di Guadalupe Nettel: avevo voglia di qualcosa di diverso (sono un’“arabofila”, passatemi il termine!), ma anche di recente pubblicazione, la novità del momento… E così, durante le feste natalizie, tra una zona di sfumatura rosso-arancione e l’altra, mi sono messa sul web alla ricerca di uno di quegli articoli tipici di fine anno, della serie la “playlist” dei libri più letti nel 2020 e sono capitata su questo!
Il titolo mi ha a dir poco folgorata: io non sono affatto figlia unica, ma ultimamente è come se lo fossi diventata… La vita, a volte, ti porta ad avvicinarti di più a persone nelle cui vene non scorre lo stesso sangue, divertendosi a farti lo scherzetto di separarti da chi pensavi non sarebbe mai e poi mai uscito dalla tua vita, per il solo fatto di farne parte da sempre...
Acquistando
questo romanzo e iniziando a leggerne le prime pagine, il 26
dicembre, su una panchina del Lungo Po a Torino, in una giornata
stranamente calda e soleggiata, mi sono immersa in una storia che,
per certi versi, da un lato, descriveva questo stato di “figlia
unica” che ho da qualche tempo acquisito; dall’altro, al tempo
stesso, affrontava il tema così complesso della maternità,
ampiamente intesa, anche questo uno status ormai da me acquisito da
qualche annetto…
Una maternità che non c’è e non è
neanche voluta, una maternità cercata al contrario a tutti i costi
per poi rivelarsi, condanna e meraviglia al contempo ed, ancora, una
maternità spezzata perché vittima di un trauma e, per questo,
divenuta ingestibile… Insomma, nelle pagine di questo romanzo
scorrono via veloci numerose e variegate maternità: da quella
inventata ma così vera della babysitter a quella più matura di una
donna che avrebbe voluto diventar nonna, fino ad arrivare perfino a
quella del regno animale… Tante e diverse maternità e
non-maternità, come tante e diverse siamo noi donne.
La maternità viene così declinata in ogni aspetto con molta grazia ma anche un forte spirito critico: dalla rinuncia consapevole al desiderio o allo status da raggiungere; dalla contrapposizione alla carriera lavorativa, pietra d’inciampo nella relazione di coppia fino alla scoperta della parte autentica di sé, delle relazioni, delle rivoluzioni esistenziali.
Per me che, nel 2020, ho compiuto 6 anni da mamma, questo romanzo è stato una piacevole sorpresa per come sia riuscito a toccare temi molto delicati con levità e leggerezza, senza cadere nel buonismo o nel pietismo, anzi facendo ricorso a rispetto e onestà. L’ho trovato semplice ma profondo, al contempo. In particolare mi ha colpito come l’autrice descriva la maternità e le varie sue forme in modo molto diretto e schietto, senza tanti giri di parole, senza luoghi comuni né semplificazioni o forme mentali preconcette e pregiudizievoli, che spesso si ritrovano (ahimé!) proprio quando si parla di “mamme” e, più in generale, di famiglie. Qui il concetto di famiglia è molto fluido, certamente non convenzionale, fuori dai soliti canoni: famiglie tutte da inventare.
Lo spazio è lasciato intenzionalmente all’unicità, a quell’esser figlia (ma anche ed eventualmente “madre” o “non madre”) unica, perché umana.
La
narrazione è centrata su un’amicizia davvero genuina tra due
donne: Laura, la voce narrante, e Alina, la copratogonista, madre
della piccola Inés. Un’amicizia nata ai tempi dell’università a
Parigi e proseguita in Messico, dove entrambe le amiche hanno fatto
ritorno, dopo gli studi: qui è ambientata la storia che vede Laura
alle prese con la tesi da ultimare ed Alina con un lavoro e una
relazione stabili, finché arriva la notizia della gravidanza di
quest’ultima, la cui gestazione sarà fin sa subito complessa per
problemi fetali, la malformazione della piccola Inés che ne metterà
a rischio la vita, prima ancora di nascere e poi di nuovo appena
venuta al mondo.
Laura sarà capace di star accanto alla sua
amica con attenzioni piccole e quotidiane: tazze
di infusi caldi al tiglio, passeggiate o cene ristoratrici,
sigarette, spese al mercato… In altre parole, con autenticità e
bellezza.
Nel
frattempo però, nella vita della protagonista Laura, si affaccerà
anche un’altra amicizia, per certi versi simile, con la sua vicina
di casa, Doris: anche in questo caso, l’autrice ci descrive un
legame fatto di piccole cose, cure che non
vengono per forza sbandierate, dichiarate. La loro amicizia nasce dal
reciproco interesse per il figlio naturale di Doris, decisamente
sofferente dell’attuale condizione di vita della madre e vittima
del passato triste e drammatico che, insieme a questa, ha vissuto
quando era ancora in vita il padre. Per Laura, questo figlio diventa,
nel corso della narrazione, quasi un figlio acquisito: inizia ad
occuparsene come mai prima da allora aveva fatto con nessuno, proprio
lei che aveva addirittura deciso di farsi chiudere le tube, pur di
non rischiare di diventare madre.
Affianco a questi
personaggi femminili ne ruotano altri, tutti accumunati da un
percorso di maturazione e crescita che sicuramente ognuna affronta
con le proprie peculiarità e il proprio ritmo e tempo, ma con la
stessa capacità di adeguarsi ed accettare l’inatteso, con il
medesimo stupore e la stessa meraviglia nello scoprire di esser in
grado – più di quanto credano loro stesse e chi le circonda – di
affrontare il diverso, il nuovo, l’inedito… che da sempre fa
molta paura.
Nonostante gli spaccati di vita altamente problematici che attraversano le pagine di questo libro, si percepisce una fortissima ispirazione e fiducia nel futuro, nella vita così come verrà. Sarà l’empatia che sprizza da tutti i pori, le dinamiche di mutuo-aiuto messe in atto dai personaggi, di sostegno e accudimento, non solo nei rapporti tra madre e figli ma, semplicemente, tra persone umane.
Più in generale mi sento di dire che è un grande e profondo romanzo sulla femminilità di oggigiorno, con particolare attenzione a quelle che spesso sono le pressioni quasi alienanti del mondo esterno sulle scelte più intime di noi donne.
Un romanzo che dà un forte segnale di speranza, qualsiasi cosa succeda nella vita di una persona, di una madre, di una famiglia… Perché c’è sempre e comunque – e in queste pagine viene descritta come qualcosa di forte e meraviglioso – una soluzione al problema, o ancor meglio la possibilità di mettersi in gioco continuamente, in quanto farlo è un’esperienza essa stessa vitale.
Per saperne di più su Maria Paola e le sue attività:
Il sito di Viaggi Solidali:
https://www.viaggisolidali.it/
Il suo blog TIJIASI:
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