Il piano orientale (titolo originale
“Le piano oriental”) è una graphic novel, ovvero una forma di
narrazione autonoma - un romanzo o un racconto – che propone temi e
vicende reali, a volte con una funzione di testimonianza, di solito
con taglio memorialistico o improntato a reportage/diario di viaggio,
raccontato attraverso l'uso del disegno.
Questa è la definizione riportata da
Treccani. Ci tengo a precisarlo per due motivi: il primo perché
dietro al termine fumetto (e ai suoi corrispondenti in altre lingue),
in realtà si nasconde un mondo che riguarda anche la narrativa per
adulti, ed è un panorama piuttosto complesso che non si riesce a
racchiudere con questa parola. Il secondo perché ho scoperto che le stesse parole utilizzate per descrivere il genere in molte lingue
sono ormai superate, proprio per i limiti semantici che presentano.
Ecco perché usare l'espressione
graphic novel, che rappresenta meglio ciò di cui tratta questo
libro. Sarebbe bello riuscire a riportare il giusto significato in
italiano, ma noi sfruttiamo e studiamo poco la nostra lingua e poi
non voglio entrare nel merito della discussione sulla terminologia.
Ritorno invece al nostro libro.
Ho scoperto questo libro perché seguo
sui social una influencer legata ai libri (quanti inglesismi in
questo articolo!!!).
Mi ha incuriosita il titolo, la forma
utilizzata per raccontare la storia, il nome dell'autrice. Ed è curioso il fatto che
ognuno di noi trovi qualcosa di diverso nello stesso libro (a volte arrivi a chiederti se davvero hai letto lo stesso libro!). Io ci ho
trovato questo.
L'autrice, Zeina Abirached, è una
giovane illustratrice di origine libanese naturalizzata francese. In
questo libro in bianco e nero racconta in parallelo due storie:
quella di un suo antenato, suo nonno, che amava la musica. Negli
anni 60-70, dedica tutta la vita a trovare il modo di far incontrare
due linguaggi, quello della musica occidentale e quello della musica
orientale, con il pianoforte.
Poi c'è la sua storia, più recente, di come sia
riuscita a far convivere nella sua persona due lingue, due linguaggi e due culture diverse, quella arabo libanese e quella francese, occidentale.
Le analogie non sono solo tra questo incontro di culture
e linguaggi che i personaggi affrontano nella loro quotidianità in
Libano, ma anche nelle avventure che li vedranno protagonisti: lei
andrà a studiare in Francia, dove poi si stabilirà, suo nonno farà un viaggio in Austria per prendere contatti con la ditta di
pianoforti interessata al suo metodo.
I risultati ottenuti dai due
protagonisti sono un bellissimo esempio di confronto, di apertura
verso l'altro, verso qualcosa che non conosciamo, nuovo, che a volte
non capiamo. E' un vero e proprio esempio di come noi, come singoli,
possiamo fare la differenza e costruire ponti tra linguaggi e culture
apparentemente diverse.

I dialoghi sono brevi e le descrizioni
escono dagli schemi tradizionali, le parole e la loro musicalità, come i personaggi, sono
protagoniste della storia e occupano il giusto spazio all'interno
delle pagine. Parole e musica (vorrei ricordare che nell'immaginario collettivo, sia l'arabo sia il francese - e le lingue di origine latina - sono lingue considerate "musicali").
Lo stile è pulito, delicato, direi addirittura morbido
nei disegni. Le soluzioni per alcune scene, poi, mi sono piaciute
molto: riuscire ad andare oltre lo spazio della singola pagina e
dover usare fogli di dimensioni maggiori, come nelle guide di viaggio
quando si inseriscono le mappe, quasi una sorpresa che il lettore non
sia aspetta.
In un momento storico e culturale
difficile come quello che stiamo affrontando, credo che storie come
questa possano aiutarci a capire in che direzione andare, come
riuscire a salvaguardare la pace e a combattere l'ignoranza.
Semplicemente con tanta curiosità.
Nonostante il contrasto dato dalla
mancanza dell'uso del colore, questa storia mi ha trasmesso molta
vivacità, ottimismo, gioia e voglia di sperimentare, di conoscere,
di andare oltre i propri confini, di essere coinvolti e lasciarsi
contaminare per uscirne arricchiti (di storie, di conoscenza, di
vita).
E questo miscuglio di sensazioni mi ha
ricordato un altro bar colorato qui a Torino: il Parrot caffè (altro inglesismo!), in
via Nizza, poco dopo piazza Carducci e vicino al negozio di
cianfrusaglie danesi chiamato Tiger (chiedo scusa per le foto, erano
le 7:30 del mattino: la luce in questo periodo non è molta, e vorrei
dare la colpa a questo e al fatto che ero ancora addormentata, ma la
verità è che io non sono una fotografa provetta).
Questo bar, piuttosto grande, ha dei
colori caldi, brillanti e accoglienti, con un arredo moderno, ricco
di elementi in legno. Quello che mi è piaciuto subito sono i tavoli:
sempre in legno, hanno al centro un piccolo pappagallo colorato, e
qui si spiega il nome. Le sedie sono in diversi colori, e riprendono
gli stessi che decorano i pappagalli. L'animale è presente anche
nelle decorazioni sui muri.
Ma parliamo della colazione: altro
motivo per cui ho scelto questo posto. Il banco ampio è ricco di
varietà di croissants e dolci di vari tipo (pasticceria e non). La
varietà nelle preparazioni della caffetteria è piuttosto buona, il
personale gentile e sorridente già alle prime ore del mattino (già
per questo sono da ammirare!).

Ho scoperto questo bar una mattina mentre
aspettavo un'amica dai ritardi cronici e incalcolabili. Di solito è piuttosto fastidioso
aspettare, quella volta si è rivelato utile (sì, l'ho ringraziata).
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