A colazione con... Elisa M. - "Dieci donne" di Marcela Serrano

Una nuova fantastica recensione ospite! 
Si tratta di Elisa M. che ci parla di Marcela Serrano. Ma chi è Elisa?
Ve lo lasciamo raccontare da lei!

Elisir, Alice, Crysalide forse anche Mirtilla, ho scritto con migliaia di pseudonomi in questi anni, solo ora sto riscoprendo la vera me e quindi mi presento: sono Elisa, racconto storie, improvviso emozioni e la mia voce è autentica e intima e provo a trasmetterla. Sono stata unpolitically correct, politically troppo correct ma il nido è proprio lì in un’anima di miele ricoperta di panna acida.






Questo libro mi è stato regalato.
Sono sempre meno le persone che regalano libri, meno ancora quelle che sanno quali libri regalarti.
Si dice che regalare profumi sia sempre un regalo “troppo” personale.
Regalare libri lo è di più.
Regalare libri che profumano di te è intimo, spregiudicato e raro.
Un’amica ci è riuscita.
Una donna ha regalato ad un’altra donna una storia di donne scritta da una donna:
Marcela Serrano.
Voce narrante potente e limpida che ha la capacità di trasportarti nella vita, nelle passioni e nelle sofferenze di nove donne che si incontrano per una seduta di gruppo dalla loro psicoterapeuta, la decima donna.
Dieci donne è il titolo di questo romanzo di introspezione a spasso per il mondo con un cuore pulsante in Cile.

Le strade, i semafori, l’afa, il paesaggio, le montagne, l’oceano, le ombre cilene vengono raccontate attraverso gli occhi di ogni donna.
Ma che stiamo aspettando? Vi presento le nuove persone che ho conosciuto in questo viaggio, attraverso le loro voci.

Con Francisca ho condiviso il mestiere di agente immobiliare e quasi l’età: quarantenne lei, trentacinquenne io. Delle sue coetanee dice “lottano ferocemente per essere riconosciute come creature speciali, si battono per fare la differenza, com’è nel loro diritto. Tutte esauste. Obbediscono al medesimo standard. Se ne hai vista una le hai viste tutte.” Ho odiato e amato la sua insofferenza fino alla fine per poi trovare la sua anima, il suo nodo.
Manè mi ha invitato per un aperitivo nel vecchio Cile tra i tavolini scrostati e il profumo di sigaro. Pablo Neruda era con noi nel Bosco. Mané trasuda bellezza ancora ora alla soglia dei 70 e sostiene che “Mi fa ridere pensare a come le nuove generazioni abbiano la fissa dell’aria all’aperto. Mistificazioni! Non si nasce né si muore all’aria aperta, tutte le cose importanti succedono all’interno.
Juana, instancabile lavoratrice, mi ha fatto una ceretta nel centro estetico dove lavora e mi ha spiazzato quando mi ha chiesto “dimmi com’è casa tua e ti dirò chi sei. Dentro casa c’è tutto il mondo. La casa è ciò che ti copre, come le piume di un uccello”.
La mia é una storia trita e ritrita- mi racconta Simona nella sua casa con la piscina e il giardino curato- ragazza bene ribelle abbandona la sua classe sociale per fare la rivoluzione. Ed eccomi qui quarant’anni dopo a rendermi conto che sono passata da uno stampo all’altro solo cambiando il contenuto.
Ho pianto con Layla mentre mi racconta la sua esperienza a Gaza: “il mio popolo è malato di memoria. Ricordare tutto significa afferrare ogni giorno un coltello affilato e tirarsi via strati di pelle. Dobbiamo organizzare l’oblio”.
Ho dormito una notte nel capanno della Luisa, un magazzino di un chiosco nella capitale. Non ci sono finestre, ma lei ne ha creata una sul tetto del mondo in attesa che il Carlos rientrasse dai campi di prigionia dove è stato deportato quarantaquattro anni prima.
È come nascere con gli occhi azzurri. Sono così. Vuoi nasconderli per tutta vita dietro un paio di occhiali? I tuoi occhi sono i tuoi occhi. É un peccato che tu debba pagare per averli.” - mi urla Lupe mentre prova a fare coming out con la sua famiglia.
Mi sono spinta fino nel deserto del Cile per comprendere la voglia di solitudine di Andrea e la sua paura di solitudine. La sua anima è il deserto. Arida di giorno e gelida di notte finché non arriva un uragano e troviamo un’oasi.
Ana Rosa, nel suo completo anonimo, quasi non la notavo poi è uscita con tutta la sua irruenza: “sento di vivere in attesa come se non fossi padrona di quello che sono e un giorno mi sveglierò trasformata in quella vipera e avvelenerò il mondo come un rettile spietato e annientatore e tutta la compostezza dei miei trentun anni se ne andrà al diavolo.
Attraverso Natasha e le sue pazienti vengono fuori le storie di dieci donne, se poi contiamo le madri, le figlie, le vicine di casa, le parenti, le nonne russe, quelle mezze matte e quelle amorevoli escono fuori le storie di cento, mille donne.
Anche il Cile è donna, spettatrice di abusi, violenze, madri che non vogliono essere madri, madri che non possono essere madri, madri non madri, figli che non vogliono essere figli, figli mai nati, figli che non avrebbero dovuto nascere, figli che faranno figli. Il Cile è la mamma che ha accolto queste storie e quella che se ne é fregata.

Inizialmente avrei voluto farvi assaporare il Cile e una colazione in vero stile cileno con pane marraquetas e uova strapazzate, ma poi ho pensato allo zenzero del sushi con una tazza di the verde perché ogni storia, ogni donna, ha bisogno di una foglia di zenzero per togliersi il gusto della storia prima: vera, straziante e senza giudizi.

Commenti